- podolica

(2020 - ongoing)

Un gesto

Una tradizione

Un rituale

Un'arte

 

La parola transumanza deriva dal verbo transumare, letteralmente transitare, attraversare.

Nel periodo primaverile i pastori conducono le mandrie dalle pianure verso i monti.

La transumanza intesa come la migrazione e quindi il passaggio stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori.

Nel periodo autunnale, con il verificarsi delle prime nevicate, le mandrie vengono spostate dalla montagna, verso le zone di pianura.

Già dall'epoca preromana l'Irpinia è stata una zona di transito obbligatoria.

Veniva utilizzata, una rete vie, che univa percorsi naturali più agevoli insieme a sentieri tracciati dall'uomo, sentieri verdi, abbondanti di erba ed acqua che permettevano cosi alle bestie di poter intraprendere il lungo cammino.

Questi sentieri, prendono il nome di tratturi. Il tratturo si origina dal costante calpestio di greggi e mandrie guidate da pastori.

Nel 2019, il comitato del patrimonio mondiale dell’ Unesco, ha proclamato la transumanza, patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

La pratica della transumanza ha acquistato così un riconoscimento internazionale.

A Montella, in Irpinia ci sono ancora pastori che tramandano quest'arte...

 

Grazie a Felice e Massimo Moscariello e famiglia.

 

Un saluto a Giuseppe Capone e famiglia.


..... CAMMINARE CON LA STORIA.....

È TIEMPIO RE SCASA'

Felice e Massimo Moscariello con Giuseppe Capone

Seguendo il perenne ciclo delle stagioni, le nostre podoliche, all'avvicinarsi dell'inverno, spontaneamente tendono ad abbandonare i pascoli in quota degli altopiani di Montella, per dirigersi verso zone più calde del foggiano. Da centinaia di anni si ripete questo spostamento e il percorso è ben fissato nella memoria di questi splendidi animali. I vitelli seguendo le madri, fanno conoscenza e memorizzano strade, soste e punti di abbeverata. Così di generazioni in generazioni.

La mandria si potrebbe lasciarla libera di andare da sola senza di noi, che in breve tempo da Verteglia raggiungerebbe Cerignola.
Ma non si può. I tratturi e tratturielli sono scomparsi del tutto. Hanno lasciato il posto a strade, costruzioni, sbarramenti, coltivazioni e recinzioni..

Su questo fenomeno sto facendo uno studio sulla sua legalità.
Anche quest'anno si rinnova la magia di incamminarsi in armonia con gli spettacolari colori autunnali dei Picentini e tra il magico suono dei campanacci, FELICE e MASSIMO MOSCARIELLO, con le loro famiglie, con me e un gruppo di cari amici ci accingiamo a rivivere questa naturalità di cultura ancestrale.
Con più di 250 tra vacche in lattazione (vacchi figliate), vacche in asciutta (vacchi streppe), manze (jenghe), tori (tauri), vitelle di un anno (annecchie) vitelli (utieddri), percorreremo più di 130 km tra Campania e Puglia, impiegheremo 3 giorni, 2 soste, 2 pause, per condurre l'intera mandria nei luoghi di svernamento.
Questa pratica è riuscita ad attraversare le ere della storia ed è riuscita a sopravvivere alla società industriale.
La transumanza ( patrimonio culturale immateriale dell' umanità dall 11/12/2019) per me è anche un' aspirazione nascosta alla libertà di movimento che è anche libertà da regole restrittive dal peso del controllo sociale.
Felice e Massimo non sono gli unici allevatori di podoliche di Montella, ma sono gli unici a continuare con questa pratica sia a primavera che in autunno. Gli altri si spostano con l autotrasporto.
La mia speranza e impegno è che si riesca a coinvolgere tutti questi tipi di allevatori per una grande manifestazione e ridare a questo evento una grande valenza.
Il documentarista Alessandro Petriello,che ho coinvolto in questo progetto, spetterà il compito di realizzare un documentario completo che illustri tutte le fasi di questo tipo di allevamento nell'arco dell' intero anno.
Montella ha uno spirito montanaro, forte e deciso e una storia millenaria. Noi ci sentiamo ancora "FURISI" 

 

Testo: GIUSEPPE CAPONE


Italo Calvino Un viaggio con le mucche, datato 1954 e compreso nell’antologia I Racconti pubblicata da Einaudi nel 1958

I rumori della città che le notti d’estate entrano dalle finestre aperte nelle stanze di chi non può dormire per il caldo, i rumori veri della città notturna si fanno udire quando a una cert’ora l’anonimo frastuono dei motori dirada e tace, e dal silenzio vengon fuori discreti, nitidi, graduati secondo la distanza, un passo di nottambulo, il fruscio della bici d’una guardia notturna, uno smorzato lontano schiamazzo, ed un russare dai piani di sopra, il

gemito d’un malato, un vecchio pendolo che continua ogni ora a battere le ore.

Finché comincia dall’alba l’orchestra delle sveglie nelle case operaie, e sulle rotaie passa un tram. Così una notte Marcovaldo, tra la moglie e i quattro figli che sudavano nel sonno, stava a occhi chiusi ad ascoltare quanto di questo pulviscolo di esili suoni filtrava giù dal

selciato del marciapiede per le basse finestrelle, fin in fondo al suo seminterrato.

Sentiva il tacco veloce e ilare delle donne in ritardo, la suola sfasciata del raccoglitore di mozziconi dalle irregolari soste, il fischiettio di chi si sente solo, e ogni tanto un rotto accozzo di parole di un dialogo tra amici, tanto da indovinare se parlavano di sport o di ragazze. Ma nella notte calda quei rumori perdevano ogni spicco, si sfacevano come attutiti dall’afa che ingombrava il vuoto delle vie, e pure sembravano volersi imporre, sancire il

proprio dominio su quel regno disabitato.

In ogni presenza umana Marcovaldo riconosceva tristemente un fratello come lui inchiodato anche in tempo di ferie a quel forno di cemento cotto e polveroso, dai debiti, dal peso della famiglia, dai salari scarsi o nulli.

E come se l’idea d’un impossibile vacanza gli avesse subito schiuse le porte d’un sogno, gli sembrò d’intendere lontano un suono di campani, e il latrato d’un cane, e pure un corto muggito. Ma aveva gli occhi aperti, non sognava: e cercava, tendendo l’orecchio, di trovare ancora un appiglio a quelle vaghe impressioni, o una smentita; e davvero gli arrivava un rumore come di centinaia e centinaia di passi, lenti, sparpagliati, sordi, che s’avvicinava e sovrastava ogni altro suono, tranne appunto quel rintocco rugginoso.

Marcovaldo s’alzò, s’infilò la camicia, i pantaloni.
– Dove vai?- disse la moglie che dormiva con un occhio solo.
– C’è una mandria che passa per la via. Vado a vedere.
– Anch’io! Anch’io! – fecero i tre bambini che sapevano svegliarsi al punto giusto.

Era una mandria come ne attraversavano nottetempo la città, al principio dell’estate, andando verso le montagne per l’alpeggio. Saliti in strada con gli occhi ancora mezz’appiccicati dal sonno, i bambini videro il fiume delle groppe bigie e pezzate che invadeva il marciapiede, e strisciava contro i muri ricoperti di manifesti, le saracinesche

abbassate, i pali dei cartelli di sosta vietata, le pompe di benzina.

Avanzando i prudenti zoccoli giù dal gradino ai crocicchi, i musi senza mai un soprassalto di curiosità accostati ai lombi di quelle che le precedevano, le mucche si portavano dietro il loro odore di strame e di fiori di campo e latte e il languido suono dei campani, e la città pareva non toccarle, tanto erano già dentro il loro mondo di prati umidi, nebbie montane e guadi di torrenti.